La sindrome di Marfan è una condizione geneticamente determinata che interessa circa 1 soggetto ogni 10.000 nati vivi. Si tratta pertanto di una “malattia rara” che può manifestarsi sia già in epoca neonatale (le forme più gravi”) che nella prima infanzia con il coinvolgimento del cuore (la valvola mitrale e l’aorta), dello scheletro (scoliosi severa, estrema lassità delle articolazioni, ad esempio) e degli occhi (lussazione del cristallino). Anche altri organi ed apparati possono essere coinvolti, come i polmoni, la pelle, il sistema nervoso periferico. I primi segni possono essere presenti già alla nascita e nella prima infanzia e condizionano severamente lo sviluppo e possono anche avere un esito infausto. La sindrome di Marfan colpisce indifferentemente maschi e femmine e la sua trasmissione è genetica (richiede un genitore affetto) ma può esordire anche in una famiglia in cui nessuno ha la sindrome. L’interessamento cardiaco vascolare rappresenta l’espressione di maggiore rilievo della sindrome di Marfan perché può avere un effetto fatale.
L’interessamento della valvola mitrale richiede molto spesso interventi cardiochirurgici riparativi (anche nel primo anno di vita) o la sostituzione della valvola stessa ma può condurre anche a situazioni di scompenso cronico ed invalidante e con possibile esito infausto. Il coinvolgimento dell’aorta è determinato da una partoicolare fragilità della sua parete a causa della fibrillina di collagene che è anomala (la mutazione FBN1 provoca la produzione di fibrillina anomala e in quantità ridotte e questo determina la sintesi di collageno funzionalmente non idoneo che rende la parete dei vasi arteriosi molto debole). Questo collageno non idoneo favorisce quindi una progressiva dilatazione della parte iniziale dell’aorta toracica (quella che inizia dal cuore) con sviluppo di dilatazione (aneurisma) che frequentemente può rompersi (si parla di dissecazione aortica) e provocare una morte improvvisa. L’unica possibilità di evitare questo è la prevenzione con controlli assidui e farmaci e correzione chirurgica (sostituzione della parte dilatata), spesso in età pediatrica. La dilatazione dell’aorta può nel tempo interessare tutta l’aorta toracica ed anche quella dell’addome con necessità di ulteriori interventi cardiochirurgici ma anche i vasi del cervello possono essere coinvolti.
La strategia principale in questi Pazienti è la prevenzione delle complicanze e per questo esistono Centri dedicati per seguire in modo specifico questi Pazienti ed è necessario continuare a sviluppare ricerche sia cliniche (strategie terapeutiche, protocolli di controllo e prevenzione delle complicanze) che “di base”, cioè mirate ai meccanismi che provocano queste situazioni. Sotto questo aspetto bisogna considerare che la mutazione genetica che provoca la sindrome di Marfan non è una sola, il gene coinvolto è quello della fibrillina (FBN1) ma i tipi di mutazione sono molti e, anche per la stessa mutazione si possono avere diverse modalità di espressione fenotipica. Cioè, due persone con la stessa mutazione genetica possono avere modi di sviluppo e livelli di gravità differenti della sindrome di Marfan. Per questo è molto importante la ricerca sui meccanismi di espressione della mutazione genetica.
Presso il Centro di Cardiogenetica Vascolare “MarfanClinic” del Policlinico San Donato che segue circa 4000 famiglie con malattie genetiche dell’aorta e in maggioranza con Sindrome di Marfan, il dr. Alessandro Pini che si dedica alla sindrome di Marfan dal 1999, sono in corso trenta linee di ricerca e tra queste, particolare importanza riveste quella che si vuole avviare sui fibroblasti. Lo studio “FIBRA” che è stato approvato da un comitato etico e scientifico, intende studiare le caratteristiche vitali ed il metabolismo di queste cellule che hanno il compito di produrre il collagene, quella sostanza che l’anomalia genetica della sindrome di Marfan produce in quantità insufficienti e con caratteristiche alterate che la rendono inefficace al suo ruolo principale di sostegno alla struttura dei tessuti.
Verranno quindi studiate le caratteristiche metaboliche e funzionali di queste cellule e si farà la correlazione tra queste caratteristiche dei fibroblasti ed i diversi tipi di mutazione del gene della fibrillina per definire meglio i meccanismi alla base della espressione fisica della sindrome di Marfan. Lo studio che coinvolge anche l’Istituto di Anatomia dell’Università degli Studi di Milano, potrà fornire quindi un ulteriore spiegazione strutturale sui meccanismi fisiopatologici della sindrome di Marfan ed inserirsi nel programma di ricerca di base in corso, insieme allo studio sulla trasmissione genetica “Marfanomica”, in collaborazione con l’Istituto San Raffaele di Milano e quello sulla dinamica funzionale dell’aorta, in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’Università della Bicocca di Milano.
Lo studio “FIBRA” va ad indagare quindi il punto fondamentale di connessione tra l’aspetto genetico e quello funzionale della patologia dell’aorta, predisponendo quindi lo sviluppo di ulteriori programmi di ricerca non solo fisiopatologica ma, potenzialmente, anche terapeutica.